Storia comparata degli usi nuziali in Italia e presso gli altri popoli indo-europei
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Chapter 3 No.3

Il pianto della sposa.

L'uso indo-europeo primitivo lasciava piangere la sposa una sola volta, quando veniva lo sposo, e benedetta dal padre e dalla madre, la menava alla sua nuova dimora. La benedizione de' parenti bastava senza quella del prete; le funzioni domestiche bastavano senza quelle della chiesa. Allora si poteva dal rituale notare, in modo preciso, quando alla sposa spettasse di piangere. Ciò non si può ora, che lo sposo riceve in consegna la sposa non una, ma due o tre volte: la prima in casa, quando gli sposi s'avviano alla chiesa, la seconda nella chiesa stessa, la terza quando si torna di chiesa, correndo in parecchi paesi l'uso che gli sposi tornino dalla chiesa a far la prima refezione nella casa della sposa, la quale, come si dice, alle Langhe Albesi in Piemonte, ha bisogno di forze per la fatica del viaggio.

Questa molteplicità di congedi contribuì forse a fare scomparire in molti luoghi l'antico uso che faceva piangere la sposa prima di recarsi a marito. Pure di una cosiffatta usanza di vedica antichità, sono ancora molte le traccie in Italia, in Grecia, in Albania, tra gli Slavi e tra i Finni.

Per quello che mi consta dell'Italia, la cerimonia del pianto della sposa è viva in Sardegna, presso il Lago Maggiore, nella valle d'Andorno, a Monte Crestese nell'Ossola, nell'Abruzzo Ultra 1.o, nell'Arpinate, in Calabria, in Sicilia, nel Bolognese, nel Fanese, nell'Osimano, nel Tudertino; e dico la cerimonia del pianto e non il pianto, dico il pianto infinto e non le pie lagrime che la madre e la figlia insieme confondono nel dolore del distacco; poichè questo dolore non è un uso, ma una voce sempre viva della natura, che non concede ad alcuno di lasciar senza rammarico le persone e le cose amate; dove si ama, si piange; ma perchè in molti luoghi si piange senza amare, quest'altro pianto è dell'uso.

Ma l'uso per riuscir tale, dovette pure avere il suo perchè; ed il perchè io lo trovo in un altro uso, che formerà il soggetto di un prossimo capitolo che si intitola: Il rapimento della sposa. Il canto popolare ci ricorda questo pianto obbligatorio nuziale, e de' saggi ne recammo già dalla poesia russa ed albanese; i contrasti del Carmen Nuptiale di Catullo lasciano indovinare la stessa usanza; e nell'agro Tuderte poi si canta ancora:

La giovinetta, quando si marita,

Con due parole abbandona la mamma:

Dice: la libertà per me è finita,

L'ultimo giorno che porto la palma[299].

A tal pianto, che fa, che dice lo sposo? Nel contado Osimano egli è pronto a soggiungere: ?Che avete che piagnete tanto? Avete paura di non trovare il pa?[300] State zitta, magnerete, beverete e starete in santa pace.? - Meno cortese invece il paraninfo greco[301], alla piangente dice in nome dello sposo: ?se piange, lasciatela?; al che la sposa prontamente soggiunge: ?menatemi via, ma lasciatemi piangere.?

La sposa deve inevitabilmente piangere, e il perchè lo vedremo, come pure perchè, mentre la sposa stava intenta al suo piagnisteo, lo sposo indiano mandasse un grido d'evviva.

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