Storia comparata degli usi nuziali in Italia e presso gli altri popoli indo-europei
img img Storia comparata degli usi nuziali in Italia e presso gli altri popoli indo-europei img Chapter 2 No.2
2
img
  /  1
img

Chapter 2 No.2

Lo sposo arriva.

Solo, difficilmente ei s'arrischia; lo accompagna, per lo più, il procolo o il camerata e talora una intiera brigata di giovani, fra suoni, grida, spari di pistoloni o schioppi. I ragazzi, al solito, gli fanno contrasto; ma di questi impedimenti nuziali vedremo, di proposito, in un prossimo capitolo. In Sardegna, lo sposo viene accompagnato dai paraninfi e dal prete del villaggio, specie di mezzano. Appena la sposa vede arrivare lo sposo si getta ai piedi della madre, e, piangendo e singhiozzando, ne invoca la benedizione. Ne' dintorni di Fenestrelle, in Piemonte, lo sposo muove con tutto il parentado, e, secondo la espressione popolare piemontese, trova sempre, alla dimora della sposa, l'uscio di legno[294], che vuol dire la porta chiusa. Quei di fuori fanno alcuni bizzarri complimenti, spesso in rima, ai quali rispondono, dopo avere aperto, ed essere state ritrovate, dove stavano con essa nascoste, le amiche della sposa. Questi dialoghi fra gli amici dello sposo e le amiche della sposa sono popolari all'uso indo-europeo; e noi conserviamo ancora il canto relativo de' Brettoni, e quello degli Albanesi. Ma, presso i Brettoni, canta per la fanciulla e per le sue compagne, il loro avvocato che si chiama breutaer; il bazvalan o procolo, arrivato coi compagni dello sposo, a cavallo, nel cortile della sposa, la invita col canto ad uscire; il breutaer risponde; finito il dialogo fra loro, lo sposo coi compagni resta fuori; il bazvalan viene introdotto e siede un istante a tavola; dopo di che, il bazvalan discende a pigliare lo sposo[295].

Presso gli Albanesi di Calabria, mentre le compagne finiscono di vestire la sposa e la porta sta sempre chiusa, arriva lo sposo co' suoi e dicono[296]:

Rondinella dal bianco collo,

Apri tosto, e mi ti mostra,

Chè ti è venuto l'amante alla porta.

Le donne rispondono maliziosamente dal di dentro:

Zitti, via, che è impedita,

Abbiamo la biancheria nel bucato,

Abbiamo il pane al forno;

Quanto ne lo leviamo, e poi vengo.

Gli uomini:

Colà su, colà per il monte,

Colà era una pianura grande,

Dove pascolavano le pernici;

Mi si lanciò uno sparviero[297],

La più bella ne scelse,

E me la rapì per il cielo.

Le donne si volgono allora a consigliare la sposa compagna, perchè pigli il suo partito:

O sposa, tu sorella mia,

Servi tu il signor tuo,

Lascia gli ufficii che hai,

E prendi quelli che troverai.

Gli uomini fanno coraggio allo sposo, affinchè compia ardito il suo disegno:

O tu, signore sposo,

Non andare timido,

Chè non vai a combattere,

Ma vai a prendere

Quel capo (gentile come) una mela

Quella vita (sottile come) una verga.

Le donne aprono la porta; gli uomini irrompono; lo sposo fa atto di rapire la sposa; le donne si lamentano così:

O sparviero, primo sparviero,

Lasciami andare la pernice;

Ecco tristamente, poichè l'hai afferrata

Di lagrime inonda il seno.

Lo sposo è occupato della sposa; i compagni rispondono per lui:

Non la lascio, e non la rimuovo,

Chè io per me la voglio.

Vedendo una parte delle donne disperato il partito, salutano la sposa e la benedicono in nome de' suoi parenti:

Prendi tu dunque, sorella mia,

Prendi il saluto dalle compagne,

Dalle compagne, o dalle vicine.

Prendi la benedizione di tua madre,

Di tua madre, e del padre tuo.

L'altra parte si volta dolorosamente verso la madre in nome della sposa che, tutta occupata del suo dolore, non può più parlare:

Che ti ho io fatto, o madre mia,

E mi rimuovi dal tuo seno,

Dal tuo seno, e dal tuo focolare?

Ma la madre, che nell'uso popolare indo-europeo non accompagna mai la figlia nè alla chiesa nè al banchetto, perchè deve stare in casa a piangere, soffocata dalle lacrime, non può nulla rispondere; e neppure il vecchio padre. In nome loro pertanto una parte delle donne benedice la sposa:

Abbiti la benedizione tu, o figlia,

Vanne come il sole quando esce.

I nostri nomi nei tuoi figli

Si ripetano, e sieno onorati,

Quando noi saremo trapassati.

Questi rimproveri che la sposa addolorata volge alla madre sono pure assai poeticamente resi in un canto popolare russo. Lo sposo arriva co' suoi compagni a cavallo, secondo la consuetudine più universale all'uso indo-europeo; la sposa inquieta interroga la madre, che, per mezzo di vaghe risposte, si studia, come può, di allontanare dalla figlia il dolore che le sovrasta; ma, quando la compagnia entra in casa e si stacca dal muro la sacra immagine, innanzi alla quale si devono gli sposi prosternare per essere benedetti, anche la madre si unisce a benedire:

- Madre, perchè nel campo c'è la polvere?

Signora, perchè nel campo c'è la polvere?

- Sono i cavalli che scherzano;

Luce mia cara, sono i cavalli che scherzano.

- Madre, nel cortile le visite arrivano,

Signora, nel cortile le visite arrivano!

- Fanciulla, non temere, non ti renderò,

Luce mia cara, non ti renderò.

- Madre, sul verone le visite arrivano,

Signora, sul verone le visite arrivano!

- Fanciulla, non temere, non ti renderò,

Luce mia cara, non ti renderò.

- Madre, nella stanza nuova vengono,

Signora, nella stanza nuova vengono!

- Fanciulla, non temere, non ti renderò,

Luce mia cara, non ti renderò.

- Madre, dal muro levano l'immagine santa,

Signora, dal muro levano l'immagine santa!

- Fanciulla, non temere, non ti renderò,

Luce mia cara, non ti renderò.

- Madre, mi benedicono,

Signora, mi benedicono!

- Fanciulla, il Signore sia con te,

Luce mia cara, il Signore sia con te[298].

* * *

            
            

COPYRIGHT(©) 2022